Salire in testa d’albero senza assistenza
Sovente capita a un velista di dover salire fino in cima all’albero della barca. A questa operazione partecipano di solito diverse persone, che forniscono assistenza alla persona designata a salire. Essa, spesso, tra l’equipaggio è la più leggera. In questo articolo viene presentato un modo per salire e scendere senza assistenza, in sicurezza, applicabile a prescindere dal peso della persona.
Avvertimento
Scalare l’albero di una barca a vela è un’operazione intrinsecamente pericolosa, che può mettere a rischio la vita di chi la esegue o di chi si trovi in prossimità della base dell’albero. Chi lo fa è consapevole dei rischi a cui si espone ed è responsabile della propria sicurezza.
Questo articolo non fornisce informazioni esaustive ma si limita a delineare la tecnica per la salita in testa d’albero preferita dall’autore. L’autore ne scoraggia un impiego acritico poiché ciò che egli ritiene sicuro per sé stesso potrebbe non essere considerato tale da altri.
Benché la tecnica descritta si avvalga di attrezzatura di tipo alpinistico si avverte che l’autore non ha seguito alcun corso di arrampicata.
Prima di tentare l’uso di qualunque tecnica per salire in testa d’albero in autonomia è indispensabile comprendere il funzionamento di tutta l’attrezzatura e fare pratica di ogni operazione in un luogo presidiato e a pochi centimetri dal suolo. Familiarizzare con le tecniche di discesa prima di salire oltre qualche centimetro.
Metodo tradizionale
Il metodo tradizionale per salire in testa d’albero è, in estrema sintesi e omettendo alcune varianti, quello di indossare un’imbracatura e sedersi nel bansigo, a loro volta legati a due drizze distinte, tramite le quali ci si fa alare in testa d’albero da una o due persone ai verricelli.
In una barca relativamente piccola, ad esempio di lunghezza inferiore ai dieci metri, i verricelli hanno spesso un basso rapporto di potenza, quindi il peso della persona da sollevare, moltiplicato per i vari attriti distribuiti nel sistema, rende assai faticoso il sollevamento, soprattutto se la persona da sollevare non è prioprio un peso piuma.
Va inoltre rilevato che le persone attive in pozzetto vengono investite di grande fiducia da parte della persona sospesa, poiché da esse dipende la sua incolumità.
Metodo senza assistenza
Poter salire senza assistenza è senz’altro un vantaggio, soprattutto se, come nel mio caso, il tempo da poter spendere in marina è sempre così poco, e non è detto che in quel momento si trovi sufficiente equipaggio. Anche durante la navigazione con equipaggio ridotto, o in solitario, può essere necessario salire in autonomia.
Salita e discesa «senza assistenza» vengono compiute da una sola persona, con le sue proprie forze e, secondo la mia opinione, con un grado di sicurezza maggiore rispetto al metodo tradizionale. Senza assistenza non significa voler fare tutto da soli, ma applicare un metodo che non richieda la movimentazione delle drizze durante la salita o la discesa.
Come nel metodo tradizionale le cime sono due: una costituisce la linea principale, sulla quale avvengono salita e discesa in condizioni normali, l’altra è la cima di sicurezza, alla quale ci si potrà trovare appesi in caso di cedimento della linea principale, ad esempio per la rottura del bansigo o per il distacco della galloccia a cui la drizza principale è data volta.
Discesa d’emergenza
Un cedimento della linea principale avverrebbe in modo violento, ed è possibile che la persona sospesa si infortuni. Poter contare sulla presenza di un’altra persona a bordo è sempre preferibile, poiché essa potrà attivare una discesa d’emergenza in caso di malore della persona sospesa.
Questa operazione consiste nel filare le due drizze, opportunamente frizionate, calando la persona fino in coperta. Per questo è necessario che i correnti delle drizze disponibili in coperta siano lunghi almeno quanto l’altezza dell’albero, così come accade quando le vele corrispondenti a quelle drizze sono alzate. La salita, quindi, non deve avvenire direttamente lungo le drizze, ma lungo due cime ad esse legate e alate fino alla testa d’albero.
Per sviluppare frizione durante la discesa d’emergenza, su barche grandi e robuste basterà far girare le drizze attorno a un verricello, mentre su barche piccole il fissaggio dell’attrezzatura in coperta potrebbe non essere adeguato al tipo di carico applicato. Meglio, in questo caso, dare alle drizze una volta attorno all’albero prima di attestarle alle gallocce. Sciogliendo i nodi dalle gallocce il giro attorno all’albero svilupperà la frizione sufficiente a filare le drizze senza fatica.
Attrezzatura
Al numero indicato nella prima colonna della tabella fanno riferimento sia gli schemi mostrati più in basso sia i sottostanti paragrafi che descrivono ciascun elemento nel dettaglio.
Le lunghezze delle cime da Ø 4, 6 e 8 mm sono indicative: ciascuno dovrà adattarle alle misure del proprio corpo.
Configurazione dell’attrezzatura
Lo schema 1 mostra, in rosso, la cima di sicurezza (1) e l’imbracatura indossata (2); in blu il moschettone di collegamento dell’imbracatura alla cima di sicurezza (3). La linea tratteggiata indica l’unione tra il moschettone e l’imbracatura, non un tratto di cima!
Questi sono i primi elementi da approntare, dopo i quali si passa a quelli della linea principale mostrati nello schema 2.
Lo schema 2 mostra, in marrone, la cima principale (5) e il bansigo (6), nel quale la persona si è già infilata. In arancione sono il collegamento tra il bansigo e la cima principale (7) dove la linea tratteggiata indica l’unione tra di essi; i pedali (8) e il loro collegamento alla cima principale. In verde (9) è la ritenuta tra il moschettone dei pedali e quello del bansigo.
Si noti che, in caso di necessità, ci si può in teoria sfilare dal bansigo per ritrovarsi nella configurazione dello schema 1.
Procedimento
Salita
La sequenza inizia dalla posizione seduta nel bansigo e ciascun piede infilato nel rispettivo pedale. Con una mano ci si tiene all’albero o alla cima principale (5). Si spinge sui pedali (8) fino ad assumere una posizione eretta, scaricando completamente il peso del corpo dal bansigo. Con l’altra mano si solleva il più possibile il bloccante e relativo moschettone del bansigo (7) lungo la cima principale.
Dopo che il bansigo (6) è stato sollevato, vi ci si siede nuovamente, togliendo il peso dai pedali. Con una mano si solleva il bloccante e relativo moschettone dei pedali lungo la cima principale.
Con entrambe le mani far salire il machard dell’imbracatura lungo la cima di sicurezza (3).
La sequenza di movimenti ricomincia da capo. In questo modo, una trentina di centimetri alla volta, si arriva in testa d’albero.
Stazionamento in testa d’albero
Tenendo conto degli accorgimenti citati sotto per aumentare al massimo l’elevazione, giunti in testa d’albero il bansigo sarà già abbastanza in alto per eseguire la maggior parte dei lavori da seduti. Alzandosi sui pedali si ottiene un’ulteriore elevazione.
Discesa
Dalla posizione seduta si fa scendere di una ventina di centimetri il machard che collega l’imbracatura alla cima di sicurezza.
Tenendosi all’albero o alla cima principale con una mano, ci si alza in piedi sui pedali, scaricando così il peso dal bansigo. Con l’altra mano si apre temporaneamente la camma del bloccante del bansigo, facendolo scendere di una ventina di centimetri. Richiusa la camma ci si siede nuovamente.
Si sollevano i piedi per togliere peso dai pedali e si fanno scendere questi ultimi di una ventina di centimetri aprendo temporaneamente la camma del relativo bloccante. Richiusa la camma si appoggiano nuovamente i piedi ai pedali.
Ripetendo più volte la sequenza si arriva in coperta.
Preparazione dell’attrezzatura
Per ciascuna parte numerata nella tabella in alto, viene di seguito descritta dettagliatamente la sua implementazione.
Parti 1 e 5: cima di sicurezza e cima principale
Come già accennato, le due cime per la salita vengono legate ad altrettante drizze e tramite esse vengono alate in testa d’albero. Ciò assicura di poter calare la persona sospesa semplicemente filando le drizze, in caso di emergenza.
Per il collegamento di ciascuna delle due cime alla propria drizza è meglio affidarsi a un nodo piuttosto che a un’impiombatura eventualmente presente nella drizza. Se l’impiombatura c’è, faremo in modo che rimanga fuori dal nodo. Tra i nodi idonei al collegamento delle cime alle drizze il mio preferito è il nodo genova (o zeppelin, come è stato ribattezzato dagli anglosassoni dopo la sua prima apparizione sulla rivista Bolina) per almeno tre motivi: il primo è la sua tenacia, anche nella giunzione tra cime di diametro leggermente diverso; il secondo è la facilità con cui è possibile scioglierlo dopo che sia stato sottoposto al carico della persona sospesa; il terzo è la sua dimensione ridotta se confrontato ad altri nodi di giunzione. Più il nodo è piccolo, infatti, più il bansigo potrà salire in alto, guadagnando centimetri che permetteranno di lavorare meglio in quota.
Dopo aver assuccato i nodi aleremo sulle drizze per farli salire il più possibile, portandoli cioè fino al contatto con le pulegge delle drizze in testa d’albero. Quindi assicureremo le drizze in coperta o all’albero come descritto nel paragrafo relativo alla discesa d’emergenza.
Parte 2: imbracatura
Va bene una qualunque imbracatura da arrampicata, cioè con cosciali, purché ben regolata.
Parte 3: machard e moschettone
Per il collegamento dell’imbracatura alla cima di sicurezza si usa un moschettone e un nodo machard. Il machard è un nodo autobloccante: quando il moschettone è scarico il machard può essere trascinato facilmente lungo la cima, ma se al moschettone viene applicato un carico il machard stringe le proprie spire attorno alla cima e rimane ostinatamente in posizione.
Vi sono due varianti del nodo: a singola asola, che blocca in una sola direzione, e a doppia asola, a bloccaggio bidirezionale. Entrambe le varianti vanno bene per questa applicazione.
Per l’esecuzione del machard occorre prima realizzare un anello con la cimetta, unendo le due estremità con un nodo doppio inglese, che si avrà cura di far corrispondere il più vicino possibile al moschettone. Conviene legare l’anello di cima al moschettone con un nodo parlato per ridurre la possibilità che l’anello fuoriesca dal moschettone quando quest’ultimo viene aperto.
La lunghezza totale della cimetta da Ø 6 mm risulterà di circa 150 cm, includendo i tratti necessari al doppio inglese, al parlato, e a 5 spire attorno alla cima da Ø 10 mm.
Parte 4: Pedale d’emergenza
Questa parte non è stata mostrata nello schema per non complicarlo con qualcosa che normalmente non viene utilizzato. È molto improbabile che un giorno ci si trovi realmente appesi alla linea di sicurezza, con quella principale fuori uso, non è vero? Eppure, il fatto stesso di aver allestito una linea di sicurezza ci impone di risolvere il problema di scendere da lì nel caso in cui quella situazione si verifichi.
Un’opzione è la discesa d’emergenza, già descritta, ma potrebbero essercene altre a seconda della situazione effettiva. Una di esse, la più semplice, consiste nel trasferire dalla cima principale a quella di sicurezza quanta più attrezzatura possibile, per poi esercitare lungo la cima di sicurezza la tecnica di normale discesa.
Nel caso invece in cui non sia possibile recuperare l’attrezzatura dalla linea principale dovremo probabilmente sfilarci dal bansigo e scendere lungo la linea di sicurezza, allestendo un pedale d’emergenza con la cimetta da Ø 6 mm lunga circa 3,5 metri, la cui matassina sarà d’abitudine legata a un appiglio dell’imbracatura.
Le estremità della cimetta saranno già legate tra loro tramite un nodo doppio inglese a formare un ampio anello. Con l’anello potrà essere realizzato un machard unidirezionale attorno alla cima di sicurezza, un po’ al di sotto del machard dell’imbracatura. Quindi si infilerà un piede nell’anello, formando la legatura mostrata nel disegno, e si scenderà esercitando una variante del metodo di discesa normale, cioè alternando il peso del corpo tra imbracatura e pedale d’emergenza.
Parte 6: bansigo
Ho avuto la fortuna di riceverne in regalo uno di ottima fattura, con tavoletta per la seduta e traversa anteriore rigida, sul quale mi è capitato di lavorare in quota per più d’un ora senza provare alcun fastidio — grazie Giampo!
Naturalmente vanno bene anche quelli senza traversa, ma avendo questi il punto di collegamento al moschettone più in alto non consentono altrettanta elevazione della persona comodamente seduta, una volta giunta in testa d’albero.
Parte 7: collegamento del bansigo alla cima principale
Si può usare un machard con moschettone anche per collegare il bansigo alla cima principale, ma per guadagnare ogni possibile centimetro in elevazione è meglio usare un bloccante meccanico per risalite su corda, che ha un ingombro minore rispetto al machard.
Ho provato diversi tipi di bloccanti, ciascuno con i propri pregi e difetti. Nel momento in cui scrivo, quelli che preferisco sono il Ropeman1 e il Rescucender per via dei seguenti vantaggi: a) hanno la camma non dentellata, quindi scorrono bene durante la discesa; b) consentono una agevole apertura della camma, altra caratteristica utile in discesa; c) abbandonando la presa sulla camma, essa si richiude, conferendo ai dispositivi una funzione anti-panico; d) permettono l’apertura della camma anche se sono stati spinti così in alto da essere arrivati a contatto col nodo tra la cima principale e la drizza — i bloccanti con camme dentellate, invece, devono salire di un buon centimetro per consentire l’apertura della camma, quindi richiedono un’attenzione particolare affinché non vengano spinti troppo in alto; e) avendo l’occhiello di attacco del moschettone piuttosto in alto favoriscono la massima elevazione del bansigo, guadagnando altri centimetri utili per lavorare più agevolmente in quota.
Parte 8: pedali per la cima principale
Per la realizzazione dei pedali con cima in poliestere da Ø 8 mm si pratica al centro della cima una gassa d’amante con cima doppia e in ciascuna estremità una normale gassa d’amante che ospiterà un piede. Bisogna fare delle prove per trovare la lunghezza giusta dei pedali, ma una volta realizzati li troveremo sempre pronti riponendoli insieme al resto dell’attrezzatura per la salita.
Se si desidera ridurre l’ingombro creato da queste tre gasse si può far realizzare dal velaio un paio di pedali con fettuccia cucita, portandogli quelli precedentemente realizzati con la cima come riferimento per le misure.
Per il collegamento dei pedali alla cima principale si può usare anche in questo caso un machard con moschettone, ma anche stavolta ho optato per un bloccante meccanico per risalite. Ne ho provati diversi e sostanzialmente sono tutti abbastanza validi. Quello che ora uso più volentieri è il RollNLock perché la sua camma è priva di denti ed è di facile apertura. Ciò ne semplifica l’impiego durante la discesa. Un altro vantaggio del RollNLock è che la sua camma può venire bloccata in posizione aperta consentendo opzioni di discesa rapida non descritte in questo articolo.
Parte 9: ritenuta tra il moschettone dei pedali e quello del bansigo
Una cimetta da Ø 3 — 4 mm legata ai moschettoni dei due bloccanti presenti lungo la cima principale, siano essi machard o meccanici, limiterà il possibile scivolamento dei pedali giù lungo la cima. Se ciò dovesse accadere, la ritenuta non solo ne limiterà la caduta, ma ne permetterà il recupero.
In sua assenza perderemmo i pedali, e sarebbe un bel problema! Avremmo comunque qualche opzione per tornare coi piedi in coperta: una è la discesa d’emergenza; un’altra consiste nell’approntare un pedale di emergenza come descritto nel paragrafo dedicato (parte 4).
Conclusione
Considero abbastanza sicuro questo metodo perché tutta l’attrezzatura impiegata è ridondata, e perché offre una varietà di opzioni per la maggior parte delle situazioni.
Averlo messo a punto mi ha veramente semplificato le cose: mentre prima tendevo a procrastinare le salite a quando sarebbe giunto un inafferrabile «momento giusto», ora considero quest’attività con molta tranquillità, per non dire divertimento. Ciò si è tradotto in salite più frequenti, a vantaggio della prontezza di esecuzione dei necessari interventi di manutenzione e di una maggior conoscenza della struttura e dello stato dell’attrezzatura della barca.